
Editing – Le gioie e i dolori del libro fotografico
Editing, non post – produzione… Non parlo della scelta della foto, anche quello è un mondo interessante, ma della sequenza del passaggio tra una foto e l’altra, del ritmo formale e di contenuto che mettiamo nelle nostre foto.
Oggi vedo impaginati rivoluzionari in cui la forma aiuta il contenuto, l’idea stessa del libro fotografico si è evoluta è cambiata…
L’editing è un viaggio (liberamente tratto da un pensiero di Jason Eskenazi) dalla prima foto all’ultima foto di una serie, di una sequenza di un libro…
Mi accompanga la certezza del “perché” ovvero perchè questo libro?
Cosa voglio comunicare?
Quali sensazioni voglio condividere con gli spettatori?
Cosa volete esprimere, raccontare, documentare?
Il tutto ricordandosi che la fotografia non deve per forza spiegare ma che può suggerire, che è un sistema opaco in cui chi guarda può proiettare se stesso.
Io solitamente parto da poche cose:
- Una sensazione;
- Un concetto;
- Un luogo da esplorare.
Tengo, in questo sono un po’ anziano, una unità formale e di sentimento.
Non voglio colpire lo spettatore, voglio invitarlo a capire ad accettare, a conscere.
Poche cose non troppe. Meno è meglio.
Prediligo gli accostamenti non marcati che invitino alla maetafora e come Eskenazi solitamente parto da una Apertura e da una Chiusura.
Amo le micro storie… I micromovimenti dell’animo… Gli affiancamenti metaforici dolci e delicati.
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